L’onda che monta a sostegno dell’approvazione della Legge Cirinnà così com’è, mi provoca reazioni contrastanti. Da una parte c’è la soddisfazione di vedere che finalmente un settore importante della popolazione e degli opinionisti (o degli “opinion leader” come si usa dire) si espone a sostegno dei diritti delle coppie omosessuali, inondando il web e occupando tutto ciò che è possibile, compreso il microfono di Sanremo con le simboliche strisce arcobaleno. Dall’altra mi provoca una riflessione amara su quanto tempo s’è perso e sul perché fino a ieri questa lotta era solo nostra (per molti anni) e poi relegata in una cerchia ristretta del cosiddetto mondo LGBT impegnato.
Fino a quando le rivendicazioni dei diritti sono fatte solo da chi se li vede negati la pasta non lievita. Quando a chiedere diritti sono settori trasversali della popolazione allora la lievitazione parte a dovere e il risultato può essere raggiunto. E’ valso allo stesso modo per l’aborto e il divorzio e deve valere per le nuove frontiere dei diritti: le coppie omosessuali e l’eutanasia.
Tuttavia la parte amara della riflessione resta. Resta il ricordo degli anni 1970 dove il FUORI e il Partito Radicale in solitaria rivendicavano diritti, spesso derisi, vilipesi e insultati tanto da destra quanto da sinistra. Resta l’amarezza di un successivo trentennio nel quale quelle rivendicazioni sono rimaste chiuse nel recinto ristretto del movimento di liberazione omosessuale che non ha avuto sbocchi politici, a parte – come sempre – i Radicali e poco altro. E resta, parlando di qualcosa di più vicino nel tempo e nello spazio, la lotta torinese per le unioni civili che ci ha visto in piazza dal novembre del 2008 per mesi, d’inverno, a raccogliere firme su una delibera di iniziativa popolare per chiedere il riconoscimento delle unioni civili a Torino, il rilascio del “certificato di famiglia anagrafica basato sul vincolo affettivo” e affermare il principio di non discriminazione nei settori di competenza dell’amministrazione comunale: case popolari, servizi sociali e sanitari, assistenza ad anziani e minori, scuola, formazione ed educazione. Quelle oltre 2500 firme – insieme ad altre iniziative comunali in giro per l’Italia – raccolte con difficoltà, in un clima di disinteresse prevalente, anche da parte di molte associazioni di omosessuali, hanno costretto il Consiglio comunale al dibattito e alla decisione. Nel giugno 2010 la Delibera è stata approvata, contribuendo ad aprire la strada alle vicende degli ultimi mesi dove questo tema è sulla bocca di tutti.
Ben venga quindi questa legge – che è già un compromesso al ribasso rispetto a quel che sarebbe dovuto essere – ma non posso negare di percepire un retrogusto di fastidio per qualcosa che puzza di conformismo quando vedo montare questa onda di consensi; da anticonformista, se mi trovo in maggioranza, la questione mi preoccupa anche se ho piena consapevolezza che le cose cambiano e le vicende di adesso sono figlie anche del nostro impegno solitario di ieri.
Il rimpianto del troppo tempo passato è forte; per questo mi vien da dire: “Porca miseria! Fino a ieri dove eravate?”. Ma lasciamo da parte l’amarezza e diamo una lezione di laicità e di umanità ai vari Gasparri, Maroni, Formigoni, Adinolfi, Salvini e vari cattodem. Conquistiamo diritti per chi non li ha, senza togliere nulla a nessuno. Questa è la differenza con i clericali e i conservatori: noi non vogliamo imporre il nostro modello per legge e non abbiamo paura di essere diversi.