“Ma dov’è sto posto di cui si parla nel libro?” – “E’ il Grotto dei rondoni?” – “Sono le “Bugacce?”
Ad alcuni la favola appenninica che ho scritto evoca la curiosità del luogo. Sapere dov’è per andare a vedere di persona. Ad altri richiama alla mente ricordi, solletica la memoria e spinge alla commozione e alla malinconia. Quella malinconia che si situa nello stomaco ma quando è leggera è solo una piacevole compagnia.
Presentare il libro a Biagioni (nella foto sopra)lo scorso 17 agosto (luogo delle mie scorribande adolescenziali e successive, fino ad oggi per intenderci) e a Boschi (nella foto qui sotto, il 20 agosto) è stata un’esperienza nuova. Molti hanno scoperto un pezzo di Igor che non conoscevano, io ne ero un po’ spaventato ma alla fine la sorpresa è stata positiva.
Un Igor che invece di scherzare su tutto diventa serissimo e che invece di scorrazzare su un campo da calcio con l’età fuori dai limiti di guardia o salire e scendere dalle montagne e dai torrenti senza una meta precisa diventa un interlocutore con cui parlare di noi, della nostra terra, della Natura, del futuro guardando al passato e immaginando cosa erano i nostri nonni e i nonni dei nostri nonni e ancora i loro avi fino ad aprire una finestra di luce lunga 10.000 anni. Vero e verosimile si mescolano nel libro come ogni tanto accade nella vita di ciascuno di noi. “Senza radici non si vola” è la collana della casa editrice Andromeda nella quale è inserito “Come le pietre raccontano. La grande favola dell’Appennino” e non è lì per caso.
Certamente l’emozione più grande è stata quella che ho provato il 20 agosto quando a seguire la presentazione c’era anche mia madre e mia nonna (con me nella foto qui sotto), Giovanna Tagliavini, classe 1915 a pochi mesi dal traguardo dei 100 anni.
E’ lei La persona alla quale ho dedicato il libro perché è una roccia come quella che mi ha parlato. Un esempio da seguire, di poche parole, mai banali, mai scontate.
E’ raro che mi senta pienamente soddisfatto di quello che faccio, ma quando alla fine della presentazione sono uscito con lei sotto braccio (e dall’altra il bastone) per condurla alla macchina che la riportava a Sasso Marconi dove vive con mio zio mi son detto “bravo” da solo.
Prima di partire per tornare a Torino ho fatto un salto dalla roccia per salutarla. L’ho ringraziata delle sue parole e gli ho regalato un libro che ho messo in una fessura (foto in alto), tra gli strati di arenaria. A futura memoria.
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